IL MIRACOLO DELLA LUCE (Jacopo Robusti detto Tintoretto)
Non è per nulla originale dichiarare il proprio amore per Venezia. Non solo non è originale, ma non ha neanche senso, perchè se qualcuno è stato in questa città e non se ne è appassionato, allora è qualcuno patologicamente sano e non occorre disturbarne la perfetta digestione. Ma che dire, nel caso non ci fosse stato? Consigliargli di andarci? Oppure tacere benevolmente senza cercare di contagiare l’altro di una strana malattia, i cui sintomi sono visibili negli occhi di una persona che ci è fratello o sorella in questa felicità: in questi stessi occhi nel menzionare Venezia saranno riflesse le case, i ponti, i canali, le barche e le rive di questa città.

Venezia è impudentemente bella. E contemporaneamente, come qualsivoglia nobile donna, è spontanea. Ma a parte la sua favolosa bellezza esteriore, possiede anche un’altra bellezza, quella che non si trova all’esterno, negli splendidi ponti, campi e fondamenta, ma nella molteplicità di chiese che a Venezia sono centoquindici; e se si volesse raggruppare in un unico luogo tutti i capolavori pittorici che si trovano nei templi veneziani, tutti i lavori di Tiziano, di Tintoretto, di Palma il Giovane, di Tiepolo padre e figlio e di molti altri сhe ivi risiedono, allora questo museo non avrebbe eguali. Per me l’altare di Venezia non è la piazza principale, San Marco, ma la Scuola di San Rocco, che è la reggia della pittura di Tintoretto e le cappelle sparse per tutta la città che accarezzano l’udito con i loro nomi: Chiesa di San Trovaso, San Cassiano, Santa Maria del Rosario, Madonna dell’Orto, Santa Maria della Salute… Qui si può entrare casualmente in una chiesa in cui ci si imbatte per strada e restare di stucco per via della forza dello spirito del pittore, uno della grande pleiade di pittori veneziani, che vi trasporta attraverso i secoli e vi afferra per la gola. Per questo questa città, piccola in quanto a territorio, di fatto è infinita.

Il mio essere stregato dall’arte di Tintoretto è iniziato da «Le tentazioni di Sant’Antonio» che si trova nella Chiesa di San Trovaso. Già in questo lavoro, a mio avviso uno dei migliori della sua produzione, sono presenti quelle tre particolarità che si sono rivelate appieno nel geniale quadro «Annunciazione», che apre la composizione della Scuola di San Rocco. Queste particolarità riguardano: 1) il rapporto tra l’anima e il corpo, 2) il movimento e 3) la luce.
Оleg Nemirinskij
Ai miei amici N.D. e N.L.
che sono in attesa di un bambino,
ed anche a tutti coloro
che possono capire di сosa si parla.
Ne «Le tentazioni di Sant’Antonio» sono rappresentati due demoni e due tentatrici nell’intento di togliere l’abito a Sant’Antonio e un angelo che vola nel cielo (praticamente si sta già librando sulla testa del santo), e tende al martire la mano salvifica. Il soggetto induce alla possibilità di rappresentare il santo che vince la propria carnalità da una parte, e una chiara e narcisistica sessualità, dall’altra. Ma le piccole tentatrici di Tintoretto sono talmente eleganti ed affascinanti e a differenza dei demoni tirano così dolcemente a sè il bordo della sua veste che si potrebbe inopportunamente pensare ad una loro diretta e animalesca tenerezza per l’uomo. Non si tratta per niente di un lavoro analogo a quello del contemporaneo e rivale di Tintoretto Paolo Veronese, la cui “Tentazione di Sant’Antonio” ricorda più una scena di violenza carnale nei confronti di un vecchio malavventurato da parte di una donna dall’incarnato bianco con l’aiuto di un rozzo macho. In Tintoretto la sessualità è veramente femminile e seducente. E se la tentatrice di destra stuzzica Sant’Antonio con il suo petto nudo, quella di sinistra ha il seno coperto, mentre il ginocchio è scoperto. Per via del disegno e del gioco della luce questo ginocchio è unico per la sua bellezza e sensualità e la sua dolce femminilità probabilmente non ha eguali nella pittura del Rinascimento.

Anche se Sant’Antonio viene rappresentato, come previsto (dall’iconografia corrente)*, non come un giovane uomo, tuttavia il suo corpo non è per nulla decrepito, ma forte e virile. Lo si potrebbe proprio immaginare accanto alle piccole affascinanti tentatrici, poichè egli si lacera per il fatto che, ed è comprensibile, la responsabilità della seduzione non sia dei demoni, e che sia suo e proprio suo il pesante compito di svincolarsi dalla prigionia di una sessualità indomita. Ma con questo la sessualtà non è negata nella bellezza, nel fascino, nella festosità. Il pittore non ci offre una soluzione pronta, ci lascia non solo con un’aspirazione spirituale, ma anche con una celebrazione corporale della vita. Ed anche l’anima stessa non trionfa sul corpo, non annulla la corporeità, ma si materializza come impeto spirtituale di questo stesso corpo, del tutto reale (sembra che poi emani persino un odore).

La seconda particolarità è la sorprendente plasticità e dinamicità delle figure rappresentate. Vi è già sufficiente movimento in ciò che avviene in basso, ma l’angelo e Sant’Antonio sono talmente protesi l’uno verso l’altro, che chi sta osservando risulta assorbito dallo spazio dell’azione. Il movimento cattura e allo spettatore risulta difficile estraniarsi, allontanare da sè quel che sta accadendo. Se Leonardo ammaliava lo spettatore con lo sguardo del personaggio, le figure di Tintoretto nelle sue migliori opere sono talmente dinamiche che lo spettatore viene a trovarsi direttamente davanti alla scena. E’ qui, percepisce con il corpo l’avvicinarsi fisico dell’angelo. Non di un angioletto, ma di un angelo con l’aspetto di un uomo adulto.

E la terza particolarità è il tema della luce. Per qualsiasi pittore è importante definire la sorgente luminosa e dipingere lilluminazione di tutte le figure in stretta relazione con la loro disposizione rispetto alla sorgente luminosa. La semplice ed impressionante soluzione di Tintoretto consiste nel fatto che la sorgente luminosa è Dio. Quindi, se nel quadro è rappresentato un angelo, la luce proviene proprio da lui. Tecnicamente, dalla testa dell’angelo partono i raggi che illuminano tutto ciò che accade. Questi raggi non ci vengono dati come illuminazione, ma come movimento della luce e questo movimento, questa luce riempie lo spettatore non soltanto di complicità, ma anche di gioia. Certo, se ci si ferma un attimo, se ci si allontana dall’affaccendarsi quotidiano e ci si concede di essere riempiti da questa luce.

Ora, andiamo nella Scuola di San Rocco dove dall’ingresso subito a sinistra troviamo l’«Annunciazione». Certo, non sarebbe male averne davanti gli occhi una buona copia, e ancor meglio essere lì, ma…….. proviamo così.

Innanzi tutto la Madonna. Non è per niente trascendente, non è “elevata” nel senso superficiale della parola. La Vergine Maria qui è del tutto terrena, palesemente corporea. Anche se la sua corporeità non è eccitante, è la naturale corporeità di una semplice donna. Ha le mani di una persona che conosce un pesante lavoro. Queste mani non sono raffinate, sono persino un po’ sporche, è stata colta mentre lavorava. E allo stesso tempo con quanta dolcezza è stato dipinto il suo collo, quanta struggente ed indifesa bellezza vi è in lei!
Anche l’Angelo, cioè l’Arcangelo Gabriele appare come un giovane uomo del tutto terreno. Ha un bel volto. Il suo essere divino è visibile nei riccioli dorati, mentre le ali di un grande uccello andrebbero meglio per un’illustrazione naturalistica di un manuale di zoologia, e la gamba destra visibile da sotto la bianca veste è la gamba un pò rozza di un uomo. Nello stesso tempo, indica con il dito la colomba, lo Spirito Santo, e in questo è ineluttabilmente legato al mondo divino, egli è comunque l’inviato del Signore. L’ambiente lavorativo della casa, la presenza degli utensili gettati in un angolo è un ulteriore dettaglio che contrasta con la colomba e con la schiera di angioletti dell’infantile corte dello Spirito Santo.

Le mani di Maria esprimono lo stupore e lo spavento per quanto ha udito. Contemporaneamente, nel carattere del movimento delle mani sono visibli gli elementi della supposizione e dell’umiltà di fronte al volere divino.

Vi è una serie di quadri con questo soggetto nel grande Tiziano, due dei quali sono maggiormente famosi. Il primo (1535) si trova anche lui qui, nella Scuola di San Rocco. L’Arcangelo Gabriele che si innalza appena dal pavimento e vola con leggerezza (a differenza di quello del quadro di Tintoretto che quasi irrompe), è tessuto da soffici passaggi di colore e di luce. Lo Spirito Santo illumina il volto di Maria che esprime mitezza, le sue mani sono sommessamente raccolte sul petto nel ricevere il Lieto Annuncio.

Competamente diverso è il quadro (1564) presente nella chiesa di San Salvador. Qui Maria è spaventata da ciò che ode, la sua mano destra è rivolta verso l’alto, quasi a difendersi, e tutta la sua posa esprime il desiderio di fuggire.
I movimenti, cioè le mani di Maria rivolte verso l’alto, l’angelo che entra in volo nella casa, la colomba orientata verso Maria e la “rumorosa banda” di angioletti che gli fa seguito, tutto questo coinvolge lo spettatore nell’evento che avviene direttamente in questo momento. Questo evento non consiste nella “trasmissione della notizia”, ma in qualcos’altro ancora, che esula sorprendentemente dall’ordinario. E questo “qualcos’altro ancora” è legato alla particolare azione della luce.

Nel quadro vi sono due sorgenti luminose. La prima è quella della luce naturale che si trova nella parte sinistra del quadro. Tuttavia Maria è illuminata anche da un’altra luce. E’ la luce che proviene dallo Spirito Santo. Dalla colomba si dipartono i raggi, tre dei quali cadono su Maria. Il primo ne illumina il capo, il secondo è diretto sul volto e sul petto, mentre il terzo, appena delineato, va verso il seno. In questa non nitidezza, in questa linea diretta appena abbozzata (non avete davanti a voi il provocatorio ventesimo secolo!) è visibile la trepidazione del Maestro di fronte all’illuminazione e alla consacrazione del Corpo di Maria. Lo Spirito non vince sul corpo, penetra nel corpo e avviene la benedizione della Donna nella sua maternità divina.

E’ l’idea della luce che proviene direttamente da Dio, espressa nella “Crocifissione” che si trova nella Chiesa di Santa Maria del Rosario. Il dolore della Madonna e le sofferenze dei discepoli sono estremi, ma essi sono sotto la protezione di una luce purificatrice che proviene direttamente dal Cristo crocifisso, riempiendo tutto lo spazio. Un’idea tuttavia potrebbe rimanere soltanto un’idea e soltanto in un’arte geniale, come in alcuni momenti della vita, ci è dato percepire direttamente la gioia derivante dall’essere riempiti dalla luce.
Anche nel quadro di Tintoretto Maria ha le mani spostate di lato, è spaventata, ma questo spavento è rappresentato diversamente. Il rifiuto dell’Annuncio espresso dalle mani non è portato a termine, non è univoco, le mani non tendono oltre, ma è come se si fossero fermate ed è possibile che ora volgano da un’altra parte o si abbassino. E questo gesto contrasta con il volto di Maria. Il suo volto non esprime soltanto stupore, ella ascolta con molta attenzione, dà ascolto alle parole del Lieto Annuncio. Mentre le mani sono girate di lato rispetto all’angelo, il suo volto è rivolto verso di lui. Non ha ancora risposto fiducia in lui, ma… è come se davanti a noi ci fosse il misterioso momento del passaggio. Maria si trova a metà, tra il rifiuto e l’accettazione, questo accade ora, davanti a noi, e il suo sguardo puntato sull’angelo è l’inizio del suo сoncedersi ad una nuova vita.
Accanto all’“Annunciazione” compare anche un altro lavoro geniale, l’“Adorazione dei Magi”. Anche qui dinuovo colpiscono gli stessi tre momenti: 1) la correlazione tra l’anima e il corpo, 2) il movimento e 3) la luce.

Anche qui Maria non è “incorporeamente elevata”, anche se la sua corporeità forse è rappresentata un po’ meno chiaramente rispetto all’“Annunciazione” per il fatto che tutto il suo corpo è rivolto verso l’infante. Le pieghe del suo vestito anche qui non nascondono, sebbene non diano neppure risalto ai contorni della figura. Ma ecco qual’è il dettaglio che mi ha colpito: uno dei raggi di luce cade sul seno destro di Maria e diventa visibile il contorno del capezzolo, a quanto pare il capezzolo inumidito di una donna che allatta.

Questa sottile presenza della corporeità si armonizza in modo talmente naturale con la tenera concentrazione sul bambino e con la tensione spirituale di quanto accade, che non restano dubbi sull’unità di anima e corpo. Maria è rivolta verso Gesù che è il “centro dinamico” del quadro, anche tutti gli altri personaggi sono rivolti verso di lui. L’arrivo dei Magi effettivamente significa che Gesù diventa il centro di quanto accade.

Ma accanto a questo nel quadro c’è qualcosa di sorprendente che ha a che fare con lo spazio tra il bambino e Maria.
Vediamo che tutte le figure sono abbastanza dinamiche. Ma se si guarda il quadro un po’ più a lungo e con maggiore attenzione, si scopre una cosa straordinariamente interessante. E’ come se tutti si fossero congelati, ad eccezione forse degli angeli in volo. In tutti i personaggi è evidente il movimento avvenuto nell’istante appena precedente, ma è come se una buona fortografia li avesse ripresi proprio in quel momento, quando questo movimento era terminato! E soltanto guardando Maria vediamo che il movimento non è terminato, ma che è pronto a perdurare. Ella è talmente dedita al figlio, talmente pronta in qualsivoglia istante a sostenerlo, afferrarlo, difenderlo, e per il momento a lasciarlo andare un poco nel mondo, che la sua figura non viene percepita come fissa. Questo crea uno spazio particolare tra lei e il bambino, spazio che si va riempiendo da un momento all’altro di un possente movimento iniziale.

Ed infine, la luce. Nel quadro tutto e tutti sono illuminati da una luce naturale, mentre la figura di Gesù è la luce stessa. Le elementari leggi ottiche sono violate. La figura del bambino splende mentre accanto a lui, verso il basso rispetto a lui, c’è buio. E la luce che proviene da lui illumina anche il volto di Maria. Qui Maria non viene illuminata tutta, a venire trafitto dalla luce è proprio il suo rivolgersi al Figlio.

E ora torniamo ancora una volta alla “Annunciazione”. Proviamo a concentrarci su tre zone dello spazio, quelle che si trovano tra Maria, l’Angelo e la Colomba. L’area della comunicazione e della percezione dell’Annuncio è lo spazio tra Maria e l’Angelo. Si può tentare di vedere, ma non è facile sostenere il calore di questo spazio, la densità dell’aria, e con la propria pelle sentire la tensione dell’evento in atto.

Quando lo spettatore risulta coinvolto nello spazio del quadro allora ha senso anche ciò che scaturisce in lui stesso. Per me, ad esempio, è stato molto importante riattivare alcune volte il respiro, percepire la profondità dell’inspirazione e il calore dell’espirazione nella prolungata presenza davanti a ciò che sta avvenendo.

Dopo aver ripreso fiato ho tentato di capire che cosa si trova tra l’Angelo e lo Spirito Santo. Ma a questo punto ho iniziato subito ad avere troppo caldo e ho staccato gli occhi dal quadro.

E quando ho provato a percepire con i sensi lo spazio tra Maria e la Colomba….. ho capito che essere lì è quasi impossibile. E’ quasi impossibile permettere a se stessi di concedersi a questa luce. E’ quasi impossibile sentire la propria briciola di partecipazione al miracolo. Soltanto inspiegabilmente il respiro diventa pieno e lieto.

Non sono riuscito a scrutare a lungo in questo spazio e sono stato riportato ai miei pensieri, immagini, ricordi. In uno di questi intervalli spontanei all’improvviso ho iniziato a ricordare le cose terrene, qualcosa del tipo come sono gli occhi di una donna che ama. Non solo innamorata, ma colma di tenerezza. E ancora…. questo è capitato in tutto alcune volte….. ho visto gli occhi di una donna nel momento in cui ha sperimentato il desiderio di avere un bambino dall’uomo che ama. E sembra che nella mia vita io non abbia visto niente di più bello.

Dicono che tuttavia Tintoretto si sia allontanato da Venezia soltanto una volta, e non lontano, a Padova. Ha vissuto qui tutta la sua vita con la moglie, con i figli, nella casa non lontana dalla chiesa della Madonna dell’Orto. Ha lavorato molto. E qualcosa ha capito. E’ probabile, suggerisce qualcuno.
Venezia — Mosca, Maggio 2016.
Traduzione di Paola Merlo.